13.05 – 04.06.23
L’ora del lupo
Luca Ceccherini
a cura di Elena Castiglia
La luce tremolante che si riflette sulle posate della tavola apparecchiata, sulle pentole di rame appese alla parete, che le foglie di notte assorbono come prendessero fuco, è la fiamma viva del focolare che brucia, mentre intorno si tramandano storie. Luca Ceccherini fa affiorare la stessa luce nei suoi dipinti, per dare vita a scene dove l’astrazione gioca con una figurazione delicata.
Fili dorati, di un giallo antico, creano i contorni di soldati, scale, serpi e mani, come in un ricamo sottile. Sono le figure dei racconti confusi d’infanzia, delle pinacoteche e le chiese che sovrapposte compongono l’immaginario dell’artista. Nella sua ricerca pittorica Ceccherini ha sempre intrecciato riferimenti di varia natura, attingendo alle immagini impresse nella sua memoria, alla storia della pittura e le sue simbologie in composizioni che lavorano su più livelli di significato. La mostra si costruisce su un ciclo di nuovi dipinti e carte che proseguono questo processo di stratificazione, attraverso cui l’artista ci racconta e si racconta. Si ricorda della voce esperta che di notte gli narrava di passeggiate notturne, incontri con i lupi e vicende epiche. Per lui quella era L’ora del lupo, quando il racconto era fiaba che con il sonno si trasformava. L’ora in cui “molta gente muore, molti bambini nascono e gli incubi ci assalgono” recita l’artista Johan Borg, protagonista dell’omonimo film di Ingmar Bergman del 1968, quando ciò che è reale si altera e le immagini iniziano a sovrapporsi. Gli episodi e le scene senza tempo delle carte a tecnica mista dialogano con tre dipinti di grandi dimensioni. I cinque lavori di piccolo formato (“Scala per la potatura”, “Preparando la brace”, “Pranzo serale”, “Basta restare con gli amici”, “Ai ferri corti”) sono dense composizioni che evocano qualcosa di assente e sintetizzano l’immaginario complesso dell’artista, a partire dalla relazione con il luogo dove è cresciuto. Il legame con la campagna del Casentino, insieme ai suoi paesaggi si ritrova anche a partire dalla prima opera all’ingresso, “Promesse da mancini” (2023), dove un cespuglio cavo con al centro una serpe, si compone di vegetazione e mani che accennano a gesti sacri. Nella grande tela “Agguato sul crinale” (2023) l’orizzonte alto, tipico della zona, diventa sfondo di un’azione fiabesca, epica, in cui lupi e uomini si confondono con i dettagli della flora. In lontananza piccole casette collinari illuminate osservano la scena. Nella parete accanto, la tela “Fuoco di corallo” (2023) esplode in una danza di fiamme che diventano un tutt’uno con i soggetti, trasportandoli in una dimensione atemporale. Qui, sebbene solo accennati, affiorano rimandi a vicende raccontate dal pennello di artisti del Quattrocento toscano.
Dal dettaglio alle grandi scene si costruisce un percorso in cui elementi del passato si sovrappongono in un’elaborazione emotiva attuale e viva.
Elena Castiglia